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20/03/2010 – Tempio, le toghe censurano il pm

TEMPIO. Dicono no alla «delegittimazione della figura del difensore che pone in pericolo il diritto di difesa del cittadino». Sottolineano l’obbligo, per l’avvocato, di rispettare le «norme di legge e deontologiche», ma censurano, nel caso Cherchi, «il modo di procedere del pubblico ministero, lesivo della dignità della professione forense». Gli avvocati della Camera penale di Tempio esaminano il caso giudiziario che riguarda la collega Cristina Cherchi, indagata per presunte minacce ai danni di un medico, e il fratello Pietro, anche lui avvocato e suo sostituto l’8 marzo nell’aula della Corte d’Assise di Sassari all’udienza del processo a carico di Martino Vargiu. Durante un’assemblea, i componenti della Camera penale (presieduta dall’avvocato Domenico Putzolu) hanno esaminato la vicenda e redatto un documento che è stato approvato a larga maggioranza. I penalisti si soffermano sulla perquisizione personale disposta dal pubblico ministero Elisa Calligaris nei confronti dell’avvocato Pietro Cherchi, al fine «di sequestrare il verbale redatto ai sensi dell’art. 391 bis dall’avvocato Cristina Cherchi. Nel corso dell’attività di polizia giudiziaria sono stati ispezionati anche il fascicolo di udienza e la borsa del professionista – scrivono i penalisti -. Subito dopo è stato sottoposto a perquisizione personale anche un praticante dello studio Cherchi. Solo nel pomeriggio e quindi ben due giorni dopo l’emissione del provvedimento di sequestro (il 6 marzo), il pm si è recata nello studio dell’avvocato Cristina Cherchi, che immediatamente ha consegnato il documento ricercato». I componenti della Camera penale affermano di non voler «porre in discussione il potere-dovere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale e di svolgere indagini nei confronti di chiunque» e sottolineano che «l’avvocatura non ha mai richiesto e non intende richiedere trattamenti di favore in materia». Ma «con altrettanta decisione», aggiungono che «nel caso di specie va censurato il modo di procedere del pubblico ministero che, anche a prescindere da ogni valutazione in ordine al rispetto delle norme procedurali che regolano la materia, appare lesivo della dignità della professione forense e in contrasto con i principi costituzionali in materia di esercizio della difesa tecnica nel processo e di quello di parità delle parti. Non può essere, inoltre, taciuto che l’attività di indagine così concitatamene e inopportunamente svolta, poteva essere effettuata con altre e non certo meno efficaci modalità, rispettose dei principi richiamati». L’avvocatura ribadisce «il fermo intendimento di voler produrre ogni sforzo affinché il diritto del cittadino di difendersi nel processo non sia vanificato o leso da condotte in contrasto con le norme e i principi che vigono per tutelarlo e attuarlo».