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Carnevale Tempiese: il tramonto delle maschere tradizionali

Carnevale Tempiese: il tramonto delle  maschere tradizionali
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Sono diverse le maschere e i travestimenti che hanno caratterizzato il Carnevale Tempiese e Gallurese nelle diverse epoche che si sono susseguite. Le più antiche sono sopravvissute fino ai primi anni del Novecento per poi scomparire inesorabilmente. Si tratta delle maschere che all’epoca venivano chiamate li ” Mascari Brutti”. Queste comprendevano le maschere grottesche, magiche e rituali e le maschere zoomomorfe. Simili, quindi, alle altre maschere primordiali (mèrdules, bòes e thùrpos) che in altre zone della Sardegna hanno conservato maggiormente le caratteristiche originali e che costituiscono ancora l’essenza del Carnevale in Barbagia.

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Li “Mascari Brutti” indossavano “abiti sbrindellati, spesso sudici, fatti di pelli di capra o di montone o cuoi di bue o di vacca, con corde a tracolla o alla cintura, con sonagli e buccole che squillano continuamente”. ( Tradizioni popolari di Francesco De rosa. Avevano i volti sporchi di fuliggine o polvere di sughero bruciato. Tra queste è possibile ricordare la figura di ” Lu Traicoggju”, sintesi tra le figure animalesche  e quelle demoniache che si aggirava per le vie trascinando un cuoio di bue o di cavallo al quale erano attaccati paioli vecchi, padelle, ciarpami e catene.  Si menzionano anche “Li Buattoni” o “Buffoni”, anch’essi vestiti di stracci ma con la peculiarità di canzonare e  far ridere la gente sparsa per il centro della città. Figure sinistre, in cui animalità e umanità si amalgamano fino a diventare un essere a sé, zoomorfo. Un’occasione , quella carnevalesca, che  serviva anche per imitare ed esorcizzare gli spiriti.

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Non mancavano poi le maschere a cavallo con i costumi tradizionali che ormai hanno perso la caratteristica di abiti d’uso comune e maschere particolari di cui oggi non rimane memoria legate all’inversione dei ruoli con uomini che si travestono da donna e viceversa. Erano certamente presenti le “attittadore” che con il loro pianto disperato per la morte di Re Giogio non possono  non avere ispirato le mascherate dei giovani, che a carnevale la riproponevano in forma ironica, travestiti da vedove dolenti e disperate per la morte dell’amato-odiato sovrano. Probabilmente era presente anche la filungnana, la filatrice che scandisce lo scorrere del tempo, figura presente nei canti arcaici galluresi.

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Erano inoltre presenti “Li Mascari in Linzolu”, in “Faldetta Cupaltata” e in “Gabbanu”. Le prime due erano maschere femminili ricavate con l’impiego di lenzuola e coperte che avvolgevano il corpo e venivano strette in vita con una cintura o cordicella colorata. Anche il capo era coperto. Lu” Gabbanu” era invece tipico dell’uomo. Si trattava di un cappottino in orbace con cappuccio e alamari che veniva indossato sopra l’abito tradizionale.  Di queste maschere, probabilmente le più antiche, non rimane che qualche flebile ricordo degli anziani. Discorso diverso invece quello del “Domino”, maschera d’eccellenza del vecchio Carnevale Tempiese che concluso il ciclo delle più antiche maschere spopola utilizzato prevalentemente dalle donne ma non solo. Di largo uso sino agni anni 70 e primi anni 80, la maschera simbolo del Carnevale Tempiese sta pian piano perdendo la sua presa. Anche se ancora oggi è possibile vedere aggirarsi durante le sfilate e nelle sale da ballo gruppetti di mascherine in domino che si divertono a giocare sul mistero di un costume che occulta e uniforma tutti concedendo un ampio margine di libertà.